Notiziario

Conversione di Selene Zorzi

La conversione intesa come un passaggio da una religione all’altra è un concetto inesistente nella mentalità antica greco-pagana. Manca perfino la terminologia. L’adesione ad una religione infatti era determinata da un fattore etnico, familiare e la mancata adesione ad essa aveva come effetto la pena dell’esclusione del singolo dalla comunità: la solitudine, la perdita dei diritti. Gli antichi pagani potevano aderire a diverse religioni contemporaneamente (si pensi al Pantheon).

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Tuttavia, tra gli antichi l’ateismo era inconcepibile. Aderire ad una religione, non implicava alcuna rottura col passato e nemmeno un nuovo stile di vita. L’essenza della religione antica stava nel compiere bene cerimonie e riti. La stessa parolaeusebeia, che noi oggi potremmo tradurre con pietà, religiosità, significa saper fare e dire ciò che è gradito agli dèi. La pietà richiedeva una sorta di purità esteriore, fisica, e non riguardava quasi mai la sfera interiore.

Una sorta di conversione era invece presente nella vita filosofica. La filosofia, intesa come modo di vita, richiedeva a chi vi aderiva un accordo tra teoria e pratica. La scelta filosofica stessa significava di per sé una conversione ad una vita più autentica che implicava per esempio la pratica della temperanza, della moderazione dagli eccessi. La scelta (hairesis) filosofica implicava quindi uno stacco tra un prima e un poi: una esistenza nuova. Colui che si convertiva alla vita filosofica, si metteva alla sequela di un maestro di saggezza, entrava in una comunità di discepoli, con relativa rinuncia ai suoi beni personali. Metodi e tecniche di meditazione accompagnavano la memorizzazione delle dottrine o delle parole del maestro e tutto implicava una nuova visione del mondo. L’esercizio della attenzione riguardava i propri moti interiori. Molti i filosofi che nella storia sono apparsi come dei veri e propri maestri spirituali che hanno radunato discepoli o vere e proprie comunità nelle quali si praticava una precisa disciplina interiore e comportava una critica ai valori comuni: Pitagora, Socrate, Diogene il Cinico, Epitteto, Seneca, Marco Aurelio, Plotino. La filosofia aveva la pretesa di insegnare a vivere, a leggere, a dialogare a sopportare il dolore e ad essere felici tramite la pratica dell’esercizio del pensiero della morte, in una sorta di memento mori antelitteram. Essa si rivolgeva però essenzialmente ad aristocratici: barbari, schiavi, donne erano esclusi da tali circoli elitari.

Nel giudaismo, l’adesione religiosa comportava una esclusività dovuta al carattere fortemente etnico del gruppo: l’unicità di Dio trovava il suo corrispettivo nell’unicità dell’identità del popolo che Egli si era scelto. Il monoteismo implicava una presa di posizione netta da parte dell’adepto nei confronti degli idoli e una dedizione del cuore che poteva unificarsi nella adorazione di un unico Dio.

Nella Bibbia la conversione (shub) è un’esigenza richiesta ad ogni fedele e un punto fermo della predicazione dei Profeti: essi chiedono un ritorno a Dio dal quale ci si è allontanati per andare dietro agli idoli, con l’uso spesso della famosa metafora dell'adulterio.

Il passaggio al giudaismo da altre religioni veniva permesso e dava luogo al gruppo dei proseliti. Questi dopo un netto abbandono di altri dèi, non sperimentavano tuttavia una piena integrazione: restava una separazione tra i proseliti e i circoncisi.

Nel cristianesimo convergono due linee di pensiero: da una parte l’adesione al Dio Padre di Gesù che implica - come nel giudaismo - una netta rottura con altre tradizioni religiose, come non avveniva nel paganesimo; dall’altra ha una destinazione universale, perché tutti possono entrare a far parte del popolo di Dio, cui non fa ostacolo la provenienza etnica, la condizione sociale o il sesso. La conversione nasce dall’ascolto del kerygma, ma è una grazia disponibile a tutti, universale.

All’adesione al Dio di Gesù, deve corrispondere un cambiamento di vita e segno liturgico dell’entrata in tale comunità era il battesimo. A chi lo chiedeva era richiesta la fede, un periodo di preparazione e dei segni di impegno morale. Si capisce perché esso non fosse rivolto ai bambini: assieme all’adesione ad una dottrina, occorreva dimostrare ferma volontà e capacità di un impegno responsabile per un cambiamento di vita che dai bimbi non si può pretendere. Il cambiamento della mentalità e dello stile di vita veniva interpretato come liberazione dal peccato, dal fato, dalla schiavitù degli idoli, dalla morte per entrare in un nuovo tipo di relazioni sulla base della fede e non del sangue. La conversione comportava un continuo rinnovamento interiore verso la santità.

Tra i racconti di conversione sono rimaste celebri le Confessioni di Sant’Agostino: in esse l’autore, non punta tanto a raccontare i fatti della sua vita, ma a ritrovare e rielaborare le motivazioni profonde della sua ricerca e della sua conversione. Si tratta di un racconto in retrospettiva che interpreta il cammino fatto in una triplice direzione: 1) la celebrazione (confessio vitae) dei fatti della vita, che spesso sono anche ambigui, dove appare l’ombra 2) del peccato (confessio peccati) e dove 3) si celebra (confessio laudis) il Dio presente nelle trame della propria storia.

Agostino ci narra la conversione anzitutto del suo modo di sentire, di pensare, solo infine del suo modo di agire. La sua conversione appare come la ricerca dell’oggetto adeguato al suo desiderio, scoprendolo nel volto di un Dio che da sempre lo guarda e lo attende con sguardo amoroso.

Potremmo fare molti esempi di racconti di queste conversioni. In sintesi si tratta del racconto di un cambiamento del modo di pensare che genera un percorso di vita diverso. Il cambiamento ha inizio dall’incontro con la Parola di Dio che è descritto come una nuova nascita. La conversione permette di leggere la propria storia come storia di liberazione e salvezza e introduce in una comunità che accompagna ma nella quale anche ci si realizza nella ministerialità. Questa vita nuova assume la forma di una testimonianza ovvero del racconto di chi, partecipe di un evento, ne è coinvolto a tal punto da raccontarlo in prima persona prendendosene responsabilmente le conseguenze. Si tratta quindi di una partecipazione ad un evento che riposiziona il testimone nel mondo, perché tale evento gli ha cambiato la vita. Il testimone è colui la cui vita è stata trasformata da ciò che ha visto, udito e toccato (1 Gv 1,1-4).

Ecco perché la conversio morum sarà sentita sempre più come lo zoccolo duro di una vera adesione al cristianesimo, una esigenza permanente del cammino del credente. Conversione diventerà dapprima sinonimo di vita monastica, la scelta cioè di coloro che, nella diffusione di una religione divenuta di Stato e superficiale, intendono viverne la radicalità. 

Anche oggi c’è bisogno di ritrovare quello zoccolo duro dell’adesione al Vangelo che sembra chiederci di diventare sempre meno una generica pratica di massa e sempre più una vita rinnovata dal Vangelo.

Nella prima domenica di Quaresima ascolteremo l’appello alla metanoia che letteralmente significa «cambiare mente»: è l’esatta traduzione di quello shûb ebraico, che significa «ritornare» a Dio. Per farlo è necessario «credere (pisteuein) nel Vangelo», come dice Mc 1,15, cioè aprirsi con fiducia al lieto annunzio di Gesù di Nazareth che diventa il contenuto stesso di questo annuncio, ed essere disposti a basare su di Lui tutta la propria vita.

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