Notiziario

È uscito il numero 54 di Sacramentaria & Scienze Religiose

Editoriale

Stiamo attraversando da circa un anno un periodo molto particolare. Esso richiede una riflessione ecclesiale rinnovata su questioni pastorali ben note, la cui importanza e attuale incidenza nella vita della comunità cristiana si è però intensificata sotto la prova della pandemia in atto che, purtroppo, sembra non attenuarsi. Le riflessioni sia teologiche che liturgiche (e in particolare quelle sacramentali), come pure quelle filosofiche e scientifiche, si sono trovate interpellate al di fuori di ogni schema acquisito, dovendosi confrontare con una realtà che costringe a ripensare il vissuto esistenziale in modo nuovo, alla luce di cambiamenti, tuttora in atto, che incidono su ogni ambito della società e non di meno sulla pastorale ecclesiale a livello nazionale e mondiale.

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La pandemia dovuta al Covid-19, ancora galoppante e inarrestabile ad ogni latitudine e longitudine, con la sua inquietante capacità di destabilizzare molteplici sistemi, ha posto in evidenza in tutti - credenti e non - lo spaesamento e la difficoltà nel trovare il modo adeguato di sostenere persone e società poste sempre più in ginocchio dalla malattia e soprattutto dalla paura, divenuta ormai fobia, del contagio e delle sue conseguenze. Non vi è dubbio sul fatto che tante persone contagiate dal virus abbiano dovuto affrontare l’evento della morte in circostanze rese ancora più drammatiche dalla solitudine e dall’isolamento in cui sono state poste. Dopo circa un anno dalla dichiarazione - da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - dello stato di pandemia, si contano oramai più di 60 milioni di contagi con più di un milione e mezzo di morti. Ma insieme a questa “agonia” e “morte” biologica, che certo non può consumare in sé l’intera estensione della vita della persona, che comunque continua ad esistere in una dimensione ultraterrena, abbiamo assistito all’agonia, non meno drammatica, delle relazioni interpersonali, della vita sociale e comunitaria, della vita religiosa, pastorale e sacramentale, con il conseguente affievolirsi delle esperienze di fede, di fraternità, di affetto non più alimentate - perlomeno come si era abituati sino ad oggi - dalla presenza dei propri cari e della comunità credente.

Evidentemente non parliamo qui solo della fatica legata alla negata assistenza familiare ai malati gravi di Covid-19, privati così dell’umana vicinanza dei loro cari (e affidati esclusivamente al personale medico, infermieristico e agli operatori socio sanitari); parliamo altresì della non meno gravosa fatica legata alla mancanza di un’assistenza spirituale da parte dei sacerdoti, anch’essa negata categoricamente, laddove l’esigenza di un accompagnamento spirituale in punto di morte era assolutamente ineludibile, come era ineludibile l’accompagnamento dei familiari e dell’intera comunità segnata dalla sofferenza. Tale assenza di accompagnamento spirituale ha segnato indubbiamente l’intera comunità credente, soprattutto durante il lockdown, assenza resa ancora più drastica dalla forzata limitazione delle celebrazioni liturgiche, della catechesi e dalla loro “sostituzione” mediante dirette online, per non parlare poi della sospensione di tutte le attività pastorali. Come rilevato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti:

 

la pandemia ha prodotto stravolgimenti non solo nelle dinamiche sociali, familiari, economiche, formative e lavorative, ma anche nella vita della comunità cristiana, compresa la dimensione liturgica. Per togliere spazio di replicazione al virus è stato necessario un rigido distanziamento sociale, che ha avuto ripercussione su un tratto fondamentale della vita cristiana: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20); «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune» (At 2,42-44)[1].

 

Di fronte a tutto questo processo ci si è posti la domanda su come reagire assumendo, al cospetto di questo “allontanamento” pastorale e liturgico, rinnovate forme di testimonianza della fede, guidati da valutazioni capaci di integrare precedenti impostazioni, oramai acquisite, ma non più rispondenti ai segni dei tempi o non più adeguate a garantire la sicurezza tanto decantata. Si è cercato, in sostanza, di rinnovare una pastorale non più in grado di intercettare le reali esigenze dell’umano posto a confronto con il dramma della pandemia e con la connessa limitazione delle relazioni interpersonali e comunitarie, raccogliendo l’esigenza di non venir meno nell’offrire una risposta adeguata all’anelito spirituale che, consapevolmente o meno, caratterizza il cuore di ogni persona, soprattutto quando questa è posta a confronto con il mistero della vita e della morte.

Senza disattendere la necessaria fedeltà alla Tradizione e il rispetto delle giuste disposizioni emanate dalle autorità pubbliche, mai come prima si sta sentendo il bisogno, all’interno della Chiesa, di individuare percorsi adeguati a rivitalizzare la risposta dell’uomo a Dio, percorsi che siano autentici ma anche originali, seppur ancorati all’essenziale che non può essere mai messo ai margini, così come ha individuato il Card. Gualtiero Bassetti, dal letto dell’ospedale su cui è stato costretto anch’egli dal Covid-19, inviando ai fedeli una lettera-messaggio dal titolo L’Eucarestia al centro della vita dei cristiani, nella quale si riportano queste parole:

 

L’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani. L’Eucarestia non è soltanto il Sacramento in cui Cristo si riceve […], ma è l’anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l’universo […]. L’Eucarestia è pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo (Gv 6,51). Nell’Eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e resurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia. Anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia - come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola - non sono al di fuori della Santissima Eucarestia […]. Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia[2].

 

Il messaggio è chiaro: per quanto i mezzi di comunicazione abbiano svolto un utile servizio durante il lockdown - quando non vi era possibilità di celebrare come assemblea - la partecipazione reale all’Eucaristia rimane insostituibile. La trasmissione della Santa Messa, se non necessaria, rischia addirittura di vanificare l’importanza dell’incontro personale e intimo con quel Dio che si consegna direttamente a noi nella Liturgia partecipata in prima persona. Questo contatto con il Signore, nella Parola ascoltata e nell’Eucaristia ricevuta, è vitale, indispensabile, insostituibile, come è insostituibile una catechesi e una pastorale la cui bellezza ed efficacia dipendono dalla qualità delle relazioni, dalla qualità dell’incontro, nonché dalla capacità di riflettere costruttivamente su quanto stiamo vivendo.

 

Daniele Cogoni

Direttore e responsabile scientifico

 



[1] Citato da https://it.aleteia.org/2020/09/14/torniamo-con-gioia-alleucaristia/

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